Metronomi sociali
Ogni scrittura prevede un pubblico. Perfino il diario più intimo non sfugge a questa norma, anche un appunto preso di sguincio sul margine di un libro privatissimo, sì, perfino quel frammento infinitesimale di un pensiero tra me e me, senza né capo né coda, alla fine prevede un pubblico in potenza. Sospetto che anche quella nostra vocina interna che usiamo per formulare pensieri preveda un pubblico, senza necessità di essere espressa attraverso il suono o la scrittura. Tutto questo per dire che non sono tanto sciocco da credere di scrivere in un eremo ed è chiaro che, nonostante la mia sincera necessità di silenzio e di lontananza, già solo il fatto che affidi queste righe ad uno spazio del genere sia dimostrazione di come non rifugga totalmente al contatto. Il tentativo è quello di rifuggire alla estrema facilità di questo contatto, alla abitudine del mostrarsi condiscendenti con l'opinione altrui perché "è del mio circolo" e dunque va bene e oltretutto non devo neppure leggere davvero visto che sono pochi caratteri.
Questo post era originariamente molto più lungo, ma lasciato decantare, tra un impegno e l'altro della mattina, ha iniziato a perdere liquidi, a disidratarsi espellendo il superfluo, ma mai abbastanza... quello che si dovrebbe ricercare è quel silenzio consapevole, quello che nasce dalla constatazione dell'inutilità della maggior parte delle nostre parole.
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